Arrivano i primi rigetti del Tar Lazio (con condanna alle spese). Secondo la sezione III bis del Tar Lazio, i cittadini italiani che hanno seguito il "percorso rumeno" per ottenere l'abilitazione all'insegnamento, in realtà non possono chiedere il riconoscimento del loro percorso in Italia, in quanto il master pedagogico rumeno non sarebbe abilitante. Dunque, secondo il Tar, quella rumena non sarebbe una vera abilitazione.
Nell'aprile 2019 il Miur ha emanato una circolare in cui rigettava i riconoscimenti, dichiarando di aver preso questa decisione sulla base delle informazioni provenienti da Bucarest. Successivamente, il Miur ha emesso centinaia di rigetti individuali. A quel punto sono partiti i ricorsi al Tar. Avevamo già parlato della vicenda in questo articolo del 23 maggio 2019 (Abilitazione docenti in Romania: la parola al Tar Lazio).
Il Tar Lazio ha rigettato un primo ricorso con sentenza depositata l'11 luglio (Tar Lazio, Roma, III bis, sentenza 11 luglio 2019, n. 9210). L'orientamento è stato confermato successivamente. In particolare i giudici (Roma, III bis, sentenza 12 agosto 2019, n. 10514) hanno motivato in questo modo il rigetto:
"3. Invero, come nel caso già esaminato nella menzionata pronuncia n. 9210/2019, anche nella specie vengono in rilievo i “Programului de studii psihopedagogice, Nivel I, II” svolti in Romania. Se è vero che il confronto tra i titoli, o meglio i programmi e i corsi di formazione, conseguiti in altro paese e quelli richiesti dallo Stato ospitante, deve essere svolto dallo Stato nel quale viene richiesto il riconoscimento del titolo, è altrettanto vero che tale confronto richiede e muove dal conferimento di un titolo e di un livello di qualifica, ai sensi dell’art. 11 della direttiva 2005/36/CE, e opera per gli insegnamenti per i quali l’interessato sia legalmente abilitato nel Paese che ha rilasciato il titolo.
Nel caso di specie, una tale circostanza risulta espressamente negata dall’amministrazione rumena e l’amministrazione interna non può che essere vincolata all’accertamento compiuto dall’amministrazione di provenienza del titolo. Nei citati precedenti della Sezione “l’amministrazione rumena ha precisato che “according to the Government Decision n. 918/2013, the teacher training programmes do not provide a level of qualification, because they aim at developing and certifyng the competences to the teaching occupation”. Ne discende che l’attestato in questione, per espressa indicazione dell’amministrazione rumena, non rientra tra i livelli di qualifica rilevanti ai fini dell’art. 11 della direttiva 205/36/CE e la formazione svolta dai cittadini italiani non è riconosciuta dalla competente autorità rumena. Le conclusioni cui è pervenuta l’amministrazione rumena vincolano quella interna, la quale, anche in osservanza del principio di leale collaborazione, non può porsi in contrasto con le conclusioni cui è pervenuto il Ministero rumeno e con il valore che questi ha attribuito alla formazione svolta nel suo ordinamento.
Nel dettaglio, il Ministero rumeno precisa ancora che l’attestato di conformità alla direttiva europea, al fine della valutazione del percorso seguito in Romania in altri Stati UE, viene rilasciato solo a coloro che abbiano compiuto in Romania sia studi di scuola superiore o post istruzione secondaria, sia studi universitari. Ne discende che, per espressa indicazione dell’autorità rumena, il programma in oggetto non consente l’attribuzione di un livello di qualifica rilevante per la direttiva in questione, con la conseguenza che il provvedimento dell’amministrazione appare privo di vizi sul punto.
Deve ancora rilevarsi che ai fini del conseguimento del titolo abilitativo in Romania per l’esercizio della professione di docente, come evidenziato dalla stessa amministrazione rumena, devono essere soddisfatte diverse condizioni: diploma di maturità conseguito in istruzione liceale con indirizzo pedagogico (per i posti didattici dell’istruzione livello ante, prescolare ed elementare); diploma di laurea corrispondente al posto/cattedra nonché il conseguimento del programma di formazione psico-pedagogica, livello I, per poter accedere ai posti di docente dell’istruzione secondaria di I grado; diploma di laura corrispondente al posto/cattedra nonché il conseguimento del programma di formazione psico-pedagogica, livello I e II, per poter accedere ai posti di docente dell’istruzione secondaria di II grado. L’amministrazione ha quindi chiarito, da un lato, che il conseguimento del programma di formazione psicopedagogica costituisca una condizione necessaria ma non sufficiente per il conseguimento del titolo abilitativo e, dall’altro, che il mero svolgimento in Romania del programma di formazione in questione non consente di ottenere, da parte dell’amministrazione rumena, il rilascio di un attestato di conformità alla direttiva 2005/36/Ce utile ai fini dell’eventuale riconoscimento in altri paesi UE e al fine di rilevare quale livello di qualifica ai sensi dell’art. 11” (TAR Lazio, III – bis, n. 9210/2019 cit.)
Anche il caso di specie, riferendosi allo stesso programma formativo, si caratterizza per il fatto che l’autorità rumena competente ha espressamente dichiarato che la formazione sancita nel titolo conseguito da parte ricorrente non sia coerente con quanto richiesto dalla direttiva 2005/36/CE e non sia sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania. Le argomentazioni di parte ricorrente non appaiono idonee a confutare un tale accertamento, né appaiono sussistere elementi di discriminazione tra chi ha svolto differenti tipologie di percorso, in considerazione delle differenze tra gli stessi già segnalate. Ne discende che l’amministrazione interna non poteva porsi in contrasto con quanto affermato dall’amministrazione rumena.
Il MIUR, nel provvedimento impugnato, ha adeguatamente argomentato e specificato l’iter logico che l’ha portato a rigettare la richiesta di riconoscimento formulato, facendo puntualmente riferimento a quanto osservato dall’amministrazione rumena. Il provvedimento impugnato, infatti, nel rigettare l’istanza, chiarisce espressamente le ragioni che hanno portato il Ministero a ritenere non idoneo il programma svolto da parte ricorrente. A tal proposito l’atto contiene un puntuale rinvio all’avviso pubblicato sul sito istituzionale del Miur, con indicazione della pagina web di riferimento, da intendersi come rinvio idoneo a integrare il contenuto del provvedimento e, quindi, la sua motivazione".
NUOVI SVILUPPI
Sempre ad agosto, successivamente al deposito della sentenza n. 10514, il Tar ha emesso alcune ordinanze, chiedendo al Miur di fornire le traduzioni in italiano del carteggio Italia-Romania. Ciò aveva fatto sperare alcuni ricorrenti. A settembre sono però arrivate ulteriori rigetti, con condanna alle spese, in un caso 3.000 euro (sentenze brevi nn. 10878, 10880, 10882, 10884, 10885 e 10906).
La sezione III bis, con la sentenza 12 settembre 2019, n. 10880, ha così motivato il rigetto:
"Con l’atto introduttivo del giudizio parte ricorrente chiedeva l’annullamento del provvedimento in epigrafe indicato in forza del quale l’amministrazione ha negato il riconoscimento in Italia dei titoli abilitativi conseguiti in Romania dai ricorrenti;
Il collegio si è già espresso sulla tematica in oggetto con la sentenza n. 9210 del 2019 del Tar del Lazio, che si richiama quale precedente conforme ai sensi dell’art. 74 c.p.a.
Ne discende che per le ragioni espresse nella sentenza richiamata il ricorso non può trovare accoglimento.
Le spese di lite seguono la soccombenza per legge e sono liquidate d’ufficio come in dispositivo in mancanza di nota spese".
UN BILANCIO
Le sentenze potrebbero essere impugnate al Consiglio di Stato, se i ricorrenti decideranno di farlo. Inoltre è possibile che il Tar in futuro muti orientamento (ma comunque, il nuovo orientamento varrebbe solo per gli altri ricorrenti, visto che le sentenze già emesse non possono essere messe in discussione dal Tar, ma solo dal Consiglio di Stato, in caso di appello).
La vicenda induce ad alcune riflessioni.
Il Miur aveva manifestato l'intenzione di non riconoscere il percorso rumeno, come dimostrano i prolungati silenzi sulle istanze di riconoscimento, che hanno costretto molti ricorrenti a procedere con ricorso avverso il silenzio dinanzi al Tar. I ricorsi sul silenzio sono stati accolti. Ma un conto è vincere un ricorso sul silenzio, un conto è ottenere un provvedimento favorevole, come spiegato in questi articoli (Professione docente, ritardi del Miur nel riconoscimento dei titoli spagnoli: serve il ricorso contro il “silenzio”? ; si veda anche Docenti abilitati in Spagna: grazie al Tar è più facile ottenere il riconoscimento). L'Amministrazione, ai sensi dell'art. 2 della l. n. 241/90, ha l'obbligo di pronunciarsi espressamente sulle istanze del cittadino, ma la pronuncia espressa non significa accoglimento. Potrebbe essere negativa, come nel caso delle abilitazioni rumene.
Molti docenti che hanno seguito il percorso rumeno, facendo affidamento sulle prime vittorie giudiziali in materia di silenzio ottenute dai colleghi, hanno preferito temporeggiare. Ma l'attesa non è mai consigliabile, in questi casi. Avrebbero dovuto invece giocare d'anticipo, attraverso l'avvio delle opportune iniziative legali in Romania. Come suggerito in questo articolo: Abilitazione docenti in Romania: la parola al Tar Lazio.
Ovviamente, agire in Romania comporta costi aggiuntivi (in primis, gli onorari dei legali rumeni). Ma quando si discute di diritto straniero è inevitabile procedere in questa direzione. "There's no free lunch". Una volta emesso il rigetto di riconoscimento, va impugnato entro 60 gg. con ricorso al Tar oppure entro 120 con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Entro questi termini, il legale italiano deve avere già un quadro chiaro della vicenda, per poter difendere al meglio il suo assistito.