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“Numero chiuso”, come accedere al corso senza partecipare al test (secondo il Tar)

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Studenti di biologia che diventano medici, farmacisti che diventano odontoiatri. Ecco quando una pregressa carriera universitaria consente di accedere a un corso di laurea a “numero chiuso” senza dover superare il test di ammissione (Tar Lazio, Roma, III, sentenza sentenza 2 ottobre 2019, n. 11504).

La legge n. 264/99 prevede il superamento del test di accesso per l'iscrizione ai corsi di laurea a “numero chiuso”. La ratio della norma è semplice. Dal momento che i posti sono limitati, il test di accesso è uno strumento per stabilire come assegnarli ai più meritevoli. Nel corso degli anni è però sorta una questione. Il test è stato introdotto per regolare le immatricolazioni (cioè le iscrizioni al primo anno). Vale anche per le ammissioni ad anni successivi al primo?

Come comportarsi se uno studente universitario, iscritto magari nello stesso corso di laurea di altro ateneo (o in un corso affine, per esempio Scienze motorie per chi vuole studiare Fisioterapia), decide di trasferirsi con riconoscimento delle materie sostenute? Dovrà superare il test di ammissione? E se lo studente è già laureato?

Da alcuni anni a questa parte la giurisprudenza amministrativa ritiene che, quando lo studente vanti una precedente carriera universitaria (non importa se in Italia o all'estero), l'Università italiana non possa subordinare l’iscrizione ad anni successivi al primo al previo superamento del test di ammissione, previsto dalla l. n. 264/99.

Si veda, tra i tanti esempi, questa recente pronuncia del Tar Lazio (Roma, III, sentenza 2 ottobre 2019, n. 11504) relativa a una studentessa che impugnava il provvedimento con cui la Sapienza negava “l’accoglimento dell'istanza di immatricolazione ad anno successivo al primo presso il corso di laurea in medicina e chirurgia per l'anno accademico 2017/2018, senza aver previamente valutato il curriculum universitario e gli esami sostenuti dell'odierna istante, iscritta ad un anno successivo al primo presso il corso di laurea di Farmacia dell'Università di Chieti”.

L'Ateneo si opponeva all'ammissione perché pretendeva (illegittimamente) che la ricorrente superasse prima il test di ammissione nazionale previsto dalla l. n. 264/99.

La sentenza annulla il provvedimento, “fatti salvi gli ulteriori provvedimenti della pubblica amministrazione”.

Il diniego è illegittimo ma il giudice precisa che il trasferimento potrà avvenire solo se si verificheranno due requisiti:
1) la ricorrente otterrà il riconoscimento di un numero crediti sufficienti ad essere iscritta ad un anno successivo al primo
2) vi saranno posti liberi all’anno di destinazione

Quella dei posti liberi è una questione piuttosto insidiosa, in quanto spesso è lo stratagemma degli atenei per ostacolare le iscrizioni. Come fare se l’Ateneo nega l’esistenza di posti liberi ma i posti vi sono? L'unico modo è... sollecitare i “poteri istruttori” del Tar e analizzare la documentazione universitaria, alla ricerca di incongruenze. Spesso i "conteggi" degli iscritti vengono fatti in modo errato.

Non è di certo un lavoro semplice, ma fortunatamente esistono gli strumenti processuali per superare l’ostruzionismo delle università e accertare la realtà.

In una recente controversia, patrocinata dallo Studio legale Sidoti & Soci, relativa al trasferimento al II anno del corso di “Odontoiatria e protesi dentaria” dell'Università dell’Aquila (da corso di laurea straniero), si è verificata questa situazione. L’Ateneo affermava l’inesistenza di posti liberi, per via di parecchi studenti iscritti in “soprannumero” negli anni passati, per effetto di precedenti provvedimenti giudiziali.

A conti fatti, in realtà i posti esistevano (l’Ateneo non aveva considerato alcune rinunce e comunque i dati presi in considerazione riguardavano "coorti" errate). Il Tar L’Aquila nel 2017, al termine di una fase istruttoria molto complessa (dove l'Università ha fatto di tutto per fornire la "propria" visione dei fatti), dava ragione all’Ateneo, rigettando il ricorso. Il ricorrente, assistito dallo Studio legale, ha appellato al Consiglio di Stato che, con motivazione estremamemente dettagliata, ha accolto tutti i motivi di appello, dichiarando l'esistenza di posti liberi e l'obbligo dell'ateneo di iscrivere lo studente (Cons. St., VI, sentenza 18 novembre 2019, n. 7869, Pres. Montedoro - Est. Gambato Spisani).

Ottenere l'ammissione a un corso di laurea a "numero chiuso", provenendo da una differente carriera (studente o laureato) è quindi possibile. Ma non esistono automatismi. Ogni situazione va studiata singolarmente. In generale, maggiore è il numero di crediti riconoscibili, più facile sarà ottenere l'ammissione. Anche perché è più facile trovare posti liberi negli ultimi di corso che nei primi.

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Tar Lazio, Roma, III, sentenza 2 ottobre 2019, n. 11504

 

"[...] Con il ricorso depositato in data 18.9.2018 la ricorrente in epigrafe ha impugnato - unitamente agli atti presupposti in epigrafe - il provvedimento prot. n. 0042777 del 21.05.2018 classif. I/8, notificato il 21.05.2018 a mezzo pec, con il quale l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” ha ritenuto di non accogliere l’istanza di immatricolazione presentata dalla ricorrente, per poter accedere ad anno successivo al primo del Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, per l’anno accademico 2017/2018.

Quanto sopra nonostante la [ricorrente] abbia frequentato, a partire dall’a.a. 2015/2016, il Corso di Laurea in Farmacia presso l’Università degli Studi di Chieti, dove ha sostenuto un numero di esami tale da raggiungere un totale di 70 CFU, i quali sono convalidabili anche dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia, ai fini dell’immatricolazione al Corso di laurea in Medicina presso “La Sapienza”.

Nonostante ciò l’Università interpellata ha negato l’iscrizione ad anno successivo al primo con la seguente motivazione: “la legge 2 agosto 1999 n. 264 (Norme in materia di accessi ai corsi universitari) dispone all’art. 1 che sono programmati a livello nazionale, tra gli altri, gli accessi ai corsi concernenti la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione. Ai sensi del successivo articolo 4, l’amministrazione ai suddetti corsi è subordinata al superamento di apposita prova di cultura generale sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore. E’ evidente che la normativa citata esclude in via preliminare qualsiasi possibilità di ammissione diretta ai corsi di studio in argomento….Conseguentemente, la [ricorrente] – come previsto dalle norme citate – dovrà sostenere per il prossimo anno accademico la prova di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia e, nell’ipotesi di esito favorevole, potrà chiedere alle competenti strutture didattiche la valutazione del precedente percorso formativo con eventuale abbreviazione di corso”.

[...]

Premesso quanto sopra si ritiene fondato ed assorbente il primo ordine di censure, nella parte in cui si rappresenta l’astratta possibilità di riconoscimento degli esami sostenuti presso altra facoltà, ove l’Amministrazione universitaria riconosca l’equipollenza di tali esami con quelli previsti nella facoltà di Medicina e Chirurgia – con maturazione di un numero di crediti formativi sufficienti, per l’immatricolazione ad anno successivo al primo – sempre che per tale anno, a seguito di trasferimenti o rinunce, si sia verificata una scopertura dei posti disponibili e senza che, in tale situazione, sia necessario affrontare il test, previsto in via esclusiva per il primo accesso agli studi universitari nel settore in questione.

Sotto tale profilo, già con l’ordinanza cautelare sopracitata le ragioni difensive della ricorrente sono state accolte, con prioritario riferimento ai principi interpretativi, desumibili dalla nota sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 28 gennaio 2015.

Il percorso argomentativo di tale sentenza può essere sintetizzato, per quanto qui interessa, nei seguenti termini:

- il superamento del test, di cui all’art. 1, commi 1 e 4, della legge 2 agosto 1999, n. 264 (Norme in materia di accesso ai corsi universitari) costituisce requisito di ammissione, ma non anche abilitazione o titolo ulteriore, indefettibilmente richiesto per accedere alla facoltà di Medicina e Chirurgia, in aggiunta al diploma di scuola secondaria superiore;

- coerentemente, pertanto, la citata normativa richiede che le prove di cui trattasi siano riferite al livello formativo assicurato, appunto, dagli studi liceali, in un logico “continuum temporale” fra detti studi e la prima ammissione al corso di laurea di cui trattasi;

- nessuno specifico requisito di ammissione, invece, è formalmente richiesto per i trasferimenti, disciplinati dall’art. 3, commi 8 e 9 del D.M. del 16 marzo 2007 (Determinazione delle classi di laurea magistrale): le citate norme si limitano infatti a disporre il riconoscimento dei crediti già maturati dagli studenti, in caso di passaggio non solo ad una diversa Università, ma anche ad un diverso corso di laurea; la determinazione di criteri e modalità per effettuare tale riconoscimento è rimessa ai regolamenti didattici, senza esclusione di eventuali colloqui, per la verifica delle conoscenze possedute dallo studente;

- solo per il primo accesso alla Facoltà, pertanto, appare ragionevole un accertamento della predisposizione agli studi da intraprendere, mentre per gli studenti già inseriti nel sistema (ovvero, già iscritti in Università italiane o straniere) può richiedersi soltanto una valutazione dell’impegno complessivo di apprendimento: impegno, dimostrato con l’acquisizione dei crediti, corrispondenti alle attività formative compiute;

- per il trasferimento, sia in ambito nazionale che con provenienza da Università straniere, l’ammissione agli studi universitari si pone come requisito pregresso, divenuto irrilevante poiché “assorbito” dal percorso formativo-didattico, già seguito in ambito universitario (purché detto percorso sia reso oggetto di rigorosa valutazione);

- non si pone, conclusivamente, alcun problema di “elusione” del percorso prescritto dalla legge, se gli obiettivi perseguiti vengono pienamente raggiunti per vie diverse, rispettose delle capacità formative delle Università e delle regole dalle medesime dettate per assicurare la più ampia possibile attuazione del diritto allo studio, costituzionalmente garantito, non senza un rigido e serio controllo del percorso formativo dello studente, che chieda il trasferimento provenendo da altro Ateneo.

I principi basilari sopra sintetizzati, in conformità alla linea interpretativa tracciata dall’Adunanza Plenaria, si adattano al caso in esame, ovvero alla situazione di chi abbia maturato in facoltà italiane, diverse da Medicina e Chirurgia, crediti formativi “spendibili” anche in quest’ultima Facoltà, secondo i regolamenti didattici dell’Ateneo.

Ove tali crediti sussistano – e siano sufficienti per l’immatricolazione in anni successivi al primo – non c’è ragione per non ritenere doverosa detta immatricolazione (come già previsto per chi abbia iniziato gli studi di Medicina in una Università straniera), senza reiterazione del test di primo accesso, all’unica ulteriore condizione della presenza di posti disponibili, presso l’Ateneo a cui venga presentata la domanda (per mancata iscrizione degli idonei selezionati negli anni antecedenti, ovvero per trasferimenti in uscita o rinunce agli studi).

Le conclusioni sopra esposte appaiono conformi alla ratio, che giustifica sul piano costituzionale e comunitario la stessa previsione del cosiddetto “numero chiuso”, ovvero dell’accesso programmato a Facoltà, in cui il numero degli iniziali aspiranti superi di gran lunga le capacità formative degli Atenei, nonché – per quanto noto in sede di programmazione – le esigenze del sistema sociale e produttivo, in cui dovranno immettersi i nuovi professionisti (cfr., per il principio, Corte Cost., 11 dicembre 2013, n. 302 in tema di graduatoria unica nazionale, ormai sussistente; ordinanza 20 luglio 2007, n. 307, nonché sentenze 27 novembre 1998, n. 383 sulla previgente legge n. 341 del 1990, come modificata con legge n. 127 del 1997, ma sulla base di principi speculari a quelli, deducibili in rapporto alla legge n. 264 del 1999; Corte di Giustizia, III sezione, 12 giugno 1986 – Bertini c. Regione Lazio, ricorsi nn. 98, 162 e 258/85 e 13 aprile 2010, causa C – 73/08; CEDU, 2 aprile 2013 – ricorsi 25851/09, 29284/09, 64090/09 – Tarantino e altri c. Italia).

Dalla giurisprudenza nazionale comunitaria sopra richiamata emerge, infatti, con chiarezza come il cosiddetto numero “chiuso” (rectius “programmato”) sia reso indispensabile dall’esigenza di assicurare, per la formazione di professionalità adeguate, che l’accesso alle Facoltà di Medicina sia subordinato alla congruità del rapporto fra numero di studenti e idoneità delle strutture, sotto il profilo non solo della didattica, ma anche della disponibilità di laboratori e della possibilità di avviare adeguate esperienze cliniche, nonché di accedere alle specializzazioni.

[...]

Per tutte le ragioni esposte, in conclusione, il primo ordine di censure, prospettato nell’impugnativa, è meritevole di accoglimento, sotto gli assorbenti profili della violazione o falsa applicazione della legge n. 264 del 1999 (a seguito di interpretazione costituzionalmente orientata della stessa) e dell’eccesso di potere per disparità di trattamento, con conseguente annullamento della disposizione – contenuta nell’allegato 2, punto 12, al D.M. n. 477 del 2017 – nella parte in cui consente l’iscrizione ad anni successivi al primo, senza previo superamento della prova di ammissione, “esclusivamente” a chi provenga dai medesimi corsi di laurea magistrale, per trasferimento da “altra sede universitaria italiana, comunitaria o extracomunitaria”, senza considerare che a non diversa valutazione di equipollenza degli esami sostenuti – rispetto a quelli previsti nel piano di studio di Medicina e Chirurgia – si può pervenire, anche ove detti esami siano stati sostenuti in Facoltà diverse.

Gli effetti conformativi della presente pronuncia non implicano, in ogni caso, il richiesto accertamento di un diritto della ricorrente all’immatricolazione richiesta, essendo rimessa al discrezionale apprezzamento dell’Ateneo – in base ai parametri vigenti – la valutazione sia di equipollenza che di sufficienza, o meno, dei crediti formativi in possesso della ricorrente, per la relativa immatricolazione ad anno successivo al primo della Facoltà di Medicina e Chirurgia (sempre che, si ripete, sussistano per tale anno posti disponibili, in corrispondenza delle circostanze in precedenza indicate).

Non può, quindi, trovare accoglimento, allo stato degli atti (ovvero, in attesa delle determinazioni conclusive dell’Ateneo), la domanda di accertamento.

Nei limiti e con gli effetti sopra illustrati il ricorso può dunque essere accolto, mentre la peculiarità della questione trattata rende equa la compensazione delle spese giudiziali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie nei limiti precisati in motivazione il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento di diniego dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e “in parte qua” il punto 12 dell’allegato 2 al D.M. 28 giugno 2017, n. 477, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2019 con l'intervento dei magistrati:

Gabriella De Michele, Presidente

Vincenzo Blanda, Consigliere

Claudio Vallorani, Primo Referendario, Estensore

 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Claudio Vallorani Gabriella De Michele

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