Una recente sentenza della Corte di Cassazione apre le porte al rimborso delle quote pagate all’ordine dei medici. Per esercitare la professione di medico è necessario iscriversi all’ordine professionale territorialmente competente. L’iscrizione, come noto, è subordinata al pagamento di una quota di iscrizione annuale. Tuttavia l’art. 1719 del codice civile, applicabile anche ai medici ospedalieri, prevede che queste spese, in quanto sostenute per svolgere un’attività a favore della struttura sanitaria, debbano essere pagate da quest’ultima.
L’art. 1719 c.c. spiega infatti che “il mandante, salvo patto contrario, è tenuto a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratto in proprio nome”.
Nella prassi, il medico ospedaliero paga di tasca propria la quota di iscrizione all’ordine. Ha diritto a chiedere al suo datore di lavoro il rimborso della quote? E, se sì, come esercitare questo diritto? Per rispondere a queste domande è utile fare riferimento a una recente pronuncia della Cassazione, emanata nei confronti di un avvocato che lavorava alle dipendenze di un ente pubblico.
La Corte di Cassazione ha stabilito che il pagamento della quota annuale di iscrizione all’Ordine degli Avvocati è rimborsabile a coloro che esercitano la professione forense nell’interesse del proprio datore di lavoro (Cass., sez. lav., sentenza 16 aprile 2015, n. 7776).
Al punto nove della suddetta sentenza, si legge che “Il pagamento della tassa annuale di iscrizione all'Elenco speciale annesso all'Albo degli Avvocati per l'esercizio della professione forense nell'interesse esclusivo dell'Ente datore di lavoro, rientra tra i costi per lo svolgimento di detta attività che, in via normale, devono gravare sull'Ente stesso. Quindi, se tale pagamento viene anticipato dall'avvocato-dipendente, deve essere rimborsato dall'Ente medesimo in base al principio generale applicabile anche nell'esecuzione del contratto di mandato, ai sensi dell'art. 1719 del Codice Civile, secondo cui il mandante è obbligato a tenere indenne il mandatario da ogni diminuzione patrimoniale che questi abbia subito in conseguenza dell'incarico, fornendogli i mezzi patrimoniali necessari”.
Nel rigettare il ricorso dell’INPS, i giudici di legittimità hanno chiarito che “l’argomento relativo alla mancanza di una previsione legale del rimborso è obiettivamente debole, in quanto, in mancanza di una specifica previsione, vale il principio generale […] secondo cui le spese sostenute dal lavoratore nell’esclusivo interesse del datore di lavoro devono essere rimborsate al dipendente”. Questo perché “l’attività dei professionisti dipendenti […] è assimilabile a quella del mandatario”.
Dunque il datore di lavoro (mandante), ai sensi dell’art. 1719 c.c., è tenuto a somministrare al lavoratore (mandatario) i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato.
Per sgomberare il campo da qualunque dubbio, la Suprema Corte ha richiamato in sentenza un indirizzo precedentemente espresso (Cass., sez. lav., sentenza 20 febbraio 2007, n. 3928) spiegando che “sono nell'interesse della persona le spese per gli studi universitari e l'acquisizione dell'abilitazione alla professione forense; una volta questa acquisita, le spese necessarie per l'esercizio della professione nell'interesse esclusivo del datore di lavoro anno per anno non attengono più […] all'acquisizione dello ‘status’" e quindi devono essere a carico dell’ente.
MEZZI DI TUTELA
Come ottenere i rimborsi? Il medico ospedaliero dovrà rivolgersi al Tribunale ordinario competente (tramite il proprio legale di fiducia), depositando in giudizio la certificazione del proprio ordine professionale che attesta il pagamento delle quote di iscrizione. Il diritto al rimborso, avendo natura “contrattuale”, si prescrivere decorsi 10 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.