La laurea aveva una durata complessiva di 4.351 ore invece che 5.000. Le ore mancanti, secondo il Tar Lazio, non permettevano all’odontoiatra argentina di ottenere il riconoscimento del titolo in Italia. Ma il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza per violazione dell’art. 73 c.p.a. (“pronuncia a sorpresa”).
Il caso riguarda una odontoiatra argentina che, trasferitasi in Italia, si è vista rifiutare da parte del Ministero della Salute il riconoscimento del titolo in quanto la sua laurea quinquiennale conseguita in Argentina non raggiungeva il numero delle ore di insegnamento teorico e pratico individuato dall’art. 41, comma 2, del d.lgs. n. 206/07: “La formazione dell’odontoiatra comprende un percorso di studi teorici e pratici della durata minima di cinque anni svolti a tempo pieno ((che possono essere espressi in aggiunta anche in crediti ECTS equivalenti e consiste in almeno 5.000 ore di insegnamento))”.
Difatti, a fronte di queste 5.000 ore, la ricorrente nel suo percorso di studi ne aveva totalizzato “solamente” 4.351. Per il Ministero italiano hanno avuto poca rilevanza il fatto che la laurea fosse stata conseguita in una delle più prestigiose università argentine, il tirocinio post-laurea svolto dalla ricorrente, nonché i master universitari conseguiti, le esperienze come assistente universitaria e l’esercizio della libera professione per 5 anni.
Gli avvocati Giuseppe Lipari e Massimo Sidoti hanno impugnato dinnanzi al Tar Lazio il provvedimento con cui il Ministero della Salute ha negato il riconoscimento del titolo, chiedendo di individuare le “misure compensative”. L’art. 41 della d.lgs. 206/07 riguarda i cosiddetti “riconoscimenti automatici” e non i “riconoscimenti generali”, che sono invece subordinati a “misure compensative”, ossia ad esami integrativi volti proprio a colmare le differenze formative dei titoli stranieri. Il riconoscimento automatico consiste nel diritto del professionista ad ottenere il riconoscimento del titolo senza dover sostenere ulteriori esami integrativi, mentre il riconoscimento generale prevede che vengano sostenuti tali esami integrativi.
Dunque, il Ministero avrebbe potuto riconoscere il titolo e colmare lo spazio temporale, di 649 ore, chiedendo alla ricorrente di sottoporsi a tali esami, ai sensi dell’art. 18 del d.lgs n. 206/07, come è già successo in altri casi identici: da qui rileva anche la disparità di trattamento.
Il Tar Lazio, però, non ha accolto il ricorso.
Secondo il Giudice, il d.lgs. n. 15/16, modificando l’art. 22 del d.lgs. n. 206/07, impedirebbe la individuazione di misure compensative per colmare la minore durata temporale del titolo. Il Tar ha sostenuto che le misure compensative possano essere individuate per colmare il gap contenustico e non quello temporale. Secondo i giudici “il requisito della durata minima del corso di laurea dovrà pertanto essere sempre indefettibilmente rispettato”.
Tale questione, però, era stata rilevata d’ufficio dal Giudice, senza che alla ricorrente venisse data la possibilità di contraddire, in violazione dell’articolo 73, comma 3, c.p.a., ai sensi del quale “Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale”.
Il Consiglio di Stato (III, sentenza 19 novembre 2019, n. 7902), su appello dell’avvocato Giorgio Bisagna, ha annullato quindi la sentenza e rinviato la causa al giudice di primo grado, con questa motivazione:
“1. Il primo motivo - riferito alla presunta violazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a. - è fondato e meritevole di accoglimento.
Dalla lettura degli atti di causa relativi al primo grado di giudizio e delle risultanze del procedimento che ha condotto all’adozione del provvedimento in quella sede gravato, trova conferma l’assunto secondo il quale l’argomento fondante la ratio della decisione appellata ha avuto ingresso, nel thema decidendum, su autonomo impulso dell’organo giudicante e senza essere precedenza sottoposto al contraddittorio delle parti.
2. Il riferimento è alla tesi secondo la quale il d.lgs. n. 15/16, modificando l’art. 22 del d.lgs. n. 206/07 (ed in particolare abrogando la lettera a) del comma 1, riferita al presupposto del “gap temporale”) avrebbe impedito l’individuazione di misure compensative per colmare il deficit di durata del corso di laurea straniero (punto 5, lettere da “a” a “h” della sentenza).
3. Effettivamente, trattasi di postulato inedito rispetto alla pluralità di argomenti spesi dalle parti tanto nel corso del giudizio di primo grado, quanto nell’interlocuzione procedimentale che ha preceduto – attraverso lo scambio del preavviso di rigetto e della memoria di risposta ai motivi ostativi – l’adozione del provvedimento di diniego.
4. La tematica sviluppata sua sponte dal giudice di primo grado non è stata sottoposta all’attenzione delle parti in udienza, con invito alle stesse ad esprimersi sul punto, e ciò in patente violazione dell’art. 73 comma 3 c.p.a., il quale prevede che “se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest’ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie”.
Come anche di recente ribadito da questa sezione, il dovere del giudice di venire in soccorso alle parti ex art. 73, comma 3, c.p.a. costituisce un meccanismo di tutela volto ad evitare pronunce "a sorpresa" su profili che esplicano una influenza decisiva sul giudizio (Cons. St., sez. III, 26 luglio 2019, n. 5275; 30 aprile 2019, n. 2802; 15 gennaio 2018, n. 165).
5. Nel caso di specie, non vi è dubbio che la variazione normativa introdotta dal d.lgs. n. 15/2016 ha assunto, agli occhi del giudice di primo grado, la rilevanza di questione “dirimente”, tale da orientare il rigetto della totalità dei motivi di ricorso dedotti, fornendo argomento di confutazione diretta del motivo sub A), e, in via derivata e logico-consequenziale, anche dei successivi motivi sub B), C) e D).
6. Per i suesposti motivi, l'appello va accolto, con conseguente annullamento della sentenza appellata e rinvio della causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 105, comma 1 c.p.a.”.
Adesso la parola ritorna al Tar Lazio che in sede di merito dovrà affrontare la situazione, chiarendo anche se la normativa italiana – sorta in recepimento della direttiva 2005/36/CE – consente o meno di individuare le “misure compensative” per il riconoscimento di lauree di odontoiatria di durata quinquennale, ma non durata inferiore alle 5.000 ore. Una questione che riguarda fondamentalmente l’applicazione del diritto europeo, in relazione a una direttiva di “non facile” lettura, quale la 2005/36/CE.