Il Ministero della difesa ha recentemente sperimentato quanto può essere pericoloso fare passare in giudicato le sentenze del Giudice Amministrativo. Infatti, una volta che una sentenza è passata in giudicato, neanche lo stesso giudice che l’ha emessa può rimetterla in discussione. Per comprenderne le ragioni di ciò è necessario esaminare da vicino le tre “giurisdizioni” del giudizio amministrativo. L’art. 7 del cpa prevede, al comma 3, che “la giurisdizione amministrativa si articola in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito”.
La “giurisdizione generale di legittimità” (art. 7, comma 4, cpa) è quella in cui il G.A. tutela l’interesse legittimo, ossia una posizione giuridica soggettiva, differente dal diritto soggettivo.
Si parla di una giurisdizione “generale” di legittimità perché ha ad oggetto la tutela degli interessi legittimi, che l’art. 103 della Costituzione attribuisce in via generale al G.A. (TRAVI). Il G.A. può annullare i provvedimenti amministrativi solo per i tre classici vizi del provvedimento amministrativo: incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere. Si tratta di un controllo esterno, che non entra nel merito dei provvedimenti perché non può violare la discrezionalità della P.A. Nei giudizi sul “silenzio” della P.A. (art. 31 cpa), è previsto però che il G.A. possa entrare nel merito di una vicenda, ordinando l’adozione di uno specifico provvedimento, solo in casi molto rari: ossia “quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione” (art. 31, comma 3, cpa).
La “giurisdizione esclusiva” (art. 7, comma 5, cpa) rappresenta un insieme di materie in cui il G.A. decide anche sui diritti soggettivi, cioè quelle posizioni giuridiche diverse dall’interesse legittimo. Si tratta dunque di una serie di materie che storicamente erano sottratte alla giurisdizione del G.A. e che venivano tutelate, non sempre in modo completo, dinnanzi al G.O. Tali materie sono indicate nell’art. 133 del cpa, ma riguardano in buona sostanza una serie di casi inerenti al risarcimento del danno o a diritti relativi a rapporti giuridici patrimoniali (ad esempio: gli accordi con la P.A., la SCIA, l’accesso ai documenti amministrativi, la concessione dei beni pubblici, gli appalti, i provvedimenti in maniera di urbanistica, le espropriazioni per pubblica utilità, i provvedimenti sanzionatori della Banca d’Italia... ecc.).
La “giurisdizione estesa al merito” (art. 7, comma 6) è invece un ambito in cui il G.A. ha un potere inerente non solo la “legittimità” ma anche il “merito”. Il G.A. giudica anche sull’opportunità dell’agire amministrativo. Tali materia sono indicate nell’art. 134 cpa “a) l'attuazione delle pronunce giurisdizionali esecutive o del giudicato nell'ambito del giudizio di cui al Titolo I del Libro IV; b) gli atti e le operazioni in materia elettorale, attribuiti alla giurisdizione amministrativa; c) le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative indipendenti e quelle previste dall'articolo 123; d) le contestazioni sui confini degli enti territoriali; e) il diniego di rilascio di nulla osta cinematografico di cui all'articolo 8 della legge 21 novembre 1962, n. 161”.
Sentenza e ottemperanza
Ciò premesso, possiamo affrontare il caso odierno. Con l’ottemperanza un cittadino propone una causa per costringere la P.A. ad attuare un’altra sentenza o provvedimento di un giudice (amministrativo, oppure ordinario).
Ad esempio, se la P.A. viene condannata a emettere un certo provvedimento o a pagare una somma di denaro entro 30 gg. al cittadino, ma non provvede, è possibile (oltre che denunciare i funzionari in Procura della Repubblica per omissione di atti d’ufficio, s’intende) promuovere un giudizio di ottemperanza. Con quel giudizio il G.A. stabilirà le modalità di attuazione della sentenza, esercitando quindi un controllo molto stringente.
Il caso odierno è emblematico
La vedova di un carabiniere aveva chiesto l’attribuzione al defunto marito di una “medaglia d’oro al valore”. La richiesta era stata negata. La donna si era dunque rivolta al Tar Catania che aveva accolto il ricorso, condannando l’Arma dei Carabinieri a concedere l’onorificenza (Tar Sicilia, Catania, III, sentenza 7 maggio 2012, n. 585).
Ora, da un punto di vista strettamente giuridico, la concessione di una onorificenza è un atto discrezionale che rientra nella giurisdizione generale di legittimità. Pertanto, dal punto di vista teorico, il Tar Catania non avrebbe potuto ordinare la sua concessione; semmai avrebbe dovuto annullare gli atti per “difetto di motivazione”, facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
A seguito della sentenza, il Ministero della difesa ha concesso al militare la medaglia al valore civile, ma non quella al valore militare. Il Ministero tuttavia non ha impugnato la sentenza entro i termini di legge.
Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, la vedova ha proposto l’ottemperanza al Tar Catania, lamentando che al defunto marito era stata assegnata una medaglia d’oro al valore civile ma non quella al valore militare.
Il Tar Catania ha respinto il nuovo ricorso (Tar Sicilia, Catania, III, sentenza 28 marzo 2014, n. 982) affermando che la concessione della medaglia d’oro al valore civile doveva ritenersi equivalente a quella militare, anche in considerazione del fatto che la vedova aveva presenziato alla cerimonia ufficiale in onore del defunto marito, in cui si assegnava la medaglia al valore civile.
La vedova ha impugnato la nuova sentenza ottenendone una riforma.
Secondo il giudice di appello (Cga., sez. giur, sentenza 16 aprile 2015, n. 612):
“Nessun dubbio, dunque, può rilevarsi sul fatto che la sentenza ‘de qua’ ha accolto la domanda dell’odierna ricorrente relativamente al conferimento al coniuge defunto della medaglia d’oro al valor militare, da eseguire entro il termine dalla stessa previsto in motivazione. Il conferimento della medaglia d’oro al merito civile, piuttosto che della medaglia d’oro al valor militare ai sensi del D. Lgs. n. 66/2010, altrimenti deciso dall’Amministrazione non appare perciò un comportamento esecutivo congruo con l’obbligo di ottemperare il giudicato formatosi sulla richiesta avanzata con il ricorso introduttivo.
D’altra parte, non vale a giustificare la condotta esecutiva dell’Amministrazione il fatto che l’onorificenza sia stata comunque accettata e, poi, effettivamente conferita alla vedova nella cerimonia del 6.06.2013; ovvero, che non sarebbe possibile conferire due onorificenze per gli stessi fatti, giusto quanto dispone l’art. 3 del D.P.R. n. 1397/1957.
Dando credito alla prima eccezione, in realtà, si finirebbe per riconoscere in questa materia una sorta di facoltà di commutazione tra ciò che viene richiesto e ciò che viene offerto, che deve altrimenti reputarsi esclusa in limine, dal momento che il riconoscimento delle onorificenze qui in discorso a favore di cittadini benemeriti della Repubblica, corrisponde ad un interesse pubblico di altissimo valore politico e sociale, che l’Amministrazione è tenuta ad esercitare nel rigoroso accertamento dei presupposti indicati dall’ordinamento: e perciò insuscettibile di ‘negoziazione’ del tipo di quella alla quale finisce per alludere lo stesso Decidente.
Siffatto orientamento, peraltro, è ribadito dallo stesso art 3 del D.P.R. n. 1397/1957, recante le norme per il conferimento delle “Ricompense al merito civile”: il quale, dopo aver prescritto al primo comma che “Non è consentito il conferimento di più ricompense per atti diretti ad un unico fine, anche se molteplici sono state le azioni compiute dalla medesima persona...”, nel secondo comma ha ritenuto di dover precisare che “la commutazione di più ricompense di grado inferiore in una di grado superiore non è ammessa...” . L’insieme della disposizione, ex adverso invocata dalla difesa erariale, priva così di giustificazione la condotta dell’Amministrazione sotto un duplice profilo: sia perché ha voluto espressamente escludere ogni pratica ‘commutativa’ tra le ricompense previste, sia perché, come eccepito dalla difesa di parte ricorrente, il divieto è riferito al cumulo di onorificenze al valor civile, ma nulla dispone circa un eventuale divieto di cumulo dell’onorificenza al valor civile con l’assegnazione di una onorificenza al valor dell’Arma dei Carabinieri; mentre nessun effetto preclusivo può essere attribuito al fatto che entrambe possono essere concesse dal Presidente della Repubblica.
In conclusione, in riforma della sentenza qui impugnata, il ricorso è fondato e deve essere accolto”.
Il ricorso straordinario in Cassazione
A questo punto, il Ministero della Difesa ha proposto il ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111, comma 8, Cost., eccependo che il Cga aveva “invaso” la sfera della P.A., imponendo la concessione di una onorificenza.
La tesi è stata respinta con la seguente motivazione (SS.UU. n. 15052/17):
“Così come le sentenze del Consiglio di Stato, anche quelle del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana sono impugnabili - ex artt. 111, ultimo comma, Cost. e 362, comma 1, cod. proc. civ. - soltanto per motivi attinenti alla giurisdizione.
Orbene, quanto all'interpretazione della reale portata dispositiva della sentenza n. 585/12 del TAR Sicilia, deve osservarsi che si tratta di questione che attiene all'esistenza o meno dei presupposti del giudizio di ottemperanza e non ai limiti esterni della giurisdizione, sicché esula dall'ambito del controllo di questa Suprema Corte. Ed è appena il caso di ricordare che l'interpretazione del giudicato in sede di giudizio di ottemperanza non è mai sindacabile da questa Suprema Corte (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 26274/16).
Inoltre, ove mai violazione dei limiti esterni della giurisdizione si fosse verificata, essa sarebbe stata ascrivibile alla citata sentenza n. 585/12 del TAR Sicilia, che però è ormai passata in giudicato.
[…]
Né al ricorrente giova sostenere che non si potrebbe ordinare al Ministero della Difesa o all'Arma dei Carabinieri la concessione dell'onorificenza, atteso che, ove mai vi fosse stato uno straripamento di poteri ai danni delle prerogative del potere esecutivo, ciò sarebbe avvenuto - giova ribadire – da parte della citata sentenza n. 585/12 del TAR Sicilia, non da parte della sentenza oggi impugnata (avente ad oggetto un mero giudizio di ottemperanza, non già l'appello contro detta sentenza n. 585/12)”.
Conclusioni
Dunque, di fronte a una sentenza considerata ingiusta, occorre assolutamente impugnarla nei termini di legge. Se il Ministero della Difesa avesse impugnato la sentenza 585/12 del Tar Sicilia, il Cga avrebbe potuto anche riformarla. Averla fatta passare in giudicato ha invece cristallizzato la pronuncia. In generale, lasciare passare in giudicato una sentenza, per quanto la stessa possa apparire illogica o di difficile attuazione, significa consegnare uno strumento potentissimo nelle mani di controparte.