Le qualifiche dei militari. Un grattacapo per i superiori che le decidono, un’incognita per i subordinati che le ricevono. Il militare che non le condivide, può impugnarle? Per quali motivi? Cosa dice la giurisprudenza? La P.A. mantiene notevole discrezionalità nel valutare i propri dipendenti, specialmente se appartenenti alle forze armate. La decisione di qualificare un militare come “eccellente”, “superiore alla media”, “nella media”, “inferiore alla media” sono discrezionali.
In generale, la giurisprudenza è restia ad annullare la “documentazione caratteristiche” dei militari, per evitare il proliferare di un contenzioso di massa.
D’altra parte, ogni cittadino (e dunque anche il militare) ha il diritto a poter impugnare gli atti della P.A. illegittimi che lo danneggiano, se sussistono fondati motivi.
Qualunque ricorso va comunque ponderato attentamente, perché solo nei casi più eclatanti sarà possibile ottenere una vittoria giudiziale.
Ecco alcuni consigli pratici.
1) Evitare il “fai da te”
Rivolgersi a un avvocato (un legale che si occupa di diritto amministrativo) fin dalle prime battute è essenziale per due motivi:
- sarà qualcun altro a scrivere per voi, assumendosene la responsabilità (il legale non può essere sanzionato dal Comando per i “toni” usati nel difendervi, il militare potrebbe esserlo);
- si eviteranno errori difensivi.
2) Nuovamente: evitare il “fai da te”
Una difesa effettiva presuppone lo studio dei documenti, da ottenere attraverso istanze di accesso. Altrimenti il lavoro del vostro legale sarà più complesso (il che significa – in estrema sintesi – tempi più lunghi e maggiori costi dettati dalla necessità di introdurre “motivi aggiunti”). Per questo motivo, la scelta migliore è rivolgersi a un professionista e affidargli il prima possibile il mandato affinché possa chiederli immediatamente, in maniera tale da poterli utilizzare tempestivamente.
3) Evitare i ricorsi gerarchici
Le note caratteristiche possono essere impugnate entro 30 giorni con ricorso gerarchico, entro 60 con ricorso giurisdizionale (dunque al Tar) oppure entro 120 giorni con Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Mentre il ricorso gerarchico è gratuito, gli altri due rimedi non lo sono, in quanto soggetti al pagamento del contributo unificato.
Il ricorso gerarchico, a differenza del ricorso giurisdizionale, può essere sottoscritto direttamente dal militare. Questo induce molti militari ad optare per il ricorso gerarchico, nella consapevolezza che l’eventuale rigetto potrà essere impugnato (con un avvocato) dinanzi al Tar. Ebbene, occorre fare attenzione a un elemento: il ricorso gerarchico ha l’effetto di limitare il “petitum” (le richieste) di revisione del provvedimento. Significa che, se con ricorso gerarchico si avanzano determinati motivi e tali motivi vengono rigettati dall’Amministrazione, contro quel provvedimento di rigetto potranno solamente essere riproposti solo i motivi avanzati nel ricorso gerarchico. Questo significa che un ricorso “debole” impedirà al vostro avvocato di tutelarvi adeguatamente, perché dinanzi al Tar non sarà libero di introdurre nuove censure, magari più fondate di quelle che avevate individuato voi.
4) I vizi censurabili sono solo quelli macroscopici, ma bisogna saperli trovare
Quindi:
- i giudizi formulati sui militari dai loro superiori comportano un apprezzamento delle loro capacità e attitudini, censurabili dal giudice amministrativo solo entro i limiti della manifesta illogicità, della discriminatorietà e del palese travisamento dei fatti (Cons. St., IV, sentenza 9 marzo 2011, n. 1519; III, parere 20 novembre 2009, n. 1729);
- il loro repentino abbassamento di alcune voci non implica necessariamente l’illegittimità del giudizio, perché ogni periodo valutativo è autonomo (III, parere 20 aprile 2010, n. 2722).
Da quanto detto sopra sembrerebbe che, di fronte a un qualsiasi abbassamento delle qualifiche, il militare sia disarmato. In realtà, sebbene il militare parta “svantaggiato”, è comunque possibile difendersi se si riesce a dimostrare in giudizio:
- l’esistenza di gravi vizi procedurali, tali da invalidare il provvedimento finale;
- la contraddittorietà tra il giudizio del valutatore e del revisore;
- il fatto che la valutazione si sia basata su atti poi annullati giurisdizionalmente (ad esempio, sanzioni disciplinari). Per questo motivo, di fronte a una sanzione disciplinare ritenuta ingiusta, è sempre opportuno valutare la possibilità di impugnarla;
- palese travisamento dei fatti, da dimostrare “documentalmente”. Per esempio, di fronte a una scheda valutativa che lamenta un peggioramento del rendimento o delle doti intellettuali del militare, si potrebbe replicare depositando in giudizio i report col numero delle pratiche evase che dimostrano un rendimento eccellente, oppure i brillanti risultati ottenuti nei corsi di formazione a cui i militari si sottopongono periodicamente. In effetti, in una situazione simile, il Consiglio di Stato ha annullato una scheda di valutazione rilevando che non si ravvisava “alcuno degli elementi che possano identificare un minore rendimento del militare che ne giustifichi una diversa valutazione rispetto ai precedenti periodi di servizio presi in esame” e che la prova che il ricorrente avesse mantenuto il livello di eccellente inizialmente attribuitogli era data “dalla mancanza di ogni rilievo o rimprovero mosso nei suoi confronti nei successivi periodi di servizio presi in considerazione” (Cons. St., II, parere 6 aprile 2016, n. 883);
- evidenti disparità di trattamento rispetto ad altri colleghi, da dimostrare “documentalmente”;
- l’esistenza provata di “inimicizia” tra superiore e subordinato, sfociata in atti di mobbing, da dimostrare in maniera adeguata, in riferimento a fatti specifici e a elementi di prova circostanziati, in quanto non basta lamentare l’esistenza di una inimicizia con il proprio valutatore, bisogna dimostrarla (Cons. St., IV, 6 novembre 2007, n. 5736).