È possibile accedere agli atti delle procedura di appalto nella fase esecutiva? L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10/20 si è pronunciata favorevolmente. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 2 aprile 2020, n. 10, risolve alcuni contrasti in materia di accesso agli atti delle procedure ad evidenza pubblica. Oltre a sottolineare il potere-dovere dell’Amministrazione di esaminare le istanze di accesso formulate in modo generico, supera il contrasto giurisprudenziale in merito all’applicabilità o meno della disciplina dell’accesso civico generalizzato agli atti delle procedure di appalto e ammette l’accesso ai documenti, anche durante la fase esecutiva del contratto.
Nel caso posto all’attenzione della Plenaria, il richiedente non aveva qualificato la natura della propria istanza, se riconducibile alla disciplina dell’accesso documentale ex artt. 22 e ss. l. 241/1990 o all’accesso civico generalizzato ex art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013 (Trasparenza, ecco come ottenere i documenti della P.A.).
La Plenaria si esprime in tal senso: “la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della L. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adito ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento”.
Altro quesito che trova risposta nella sentenza riguarda la possibilità del concorrente ad una gara pubblica di accedere ex l. 241/90 (accesso documentale) agli atti della fase esecutiva del contratto (fase di natura privatistica) sottoscritto con l’aggiudicatario.
L’impresa collocata in posizione utile in graduatoria, ma non aggiudicataria, è titolare di un interesse diretto concreto e attuale ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte dell’aggiudicatario, “in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara, purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale”.
È proprio nella fase di esecuzione contrattuale che l’interesse pubblico trova la sua piena realizzazione, per cui anche tale fase di natura “privatistica” ha una rilevanza “pubblicistica”, che giustifica la relativa accessibilità e che comporta una disciplina autonoma e parallela rispetto a quella del codice civile. Secondo la Plenaria: “l’accesso documentale agli atti della fase esecutiva è ammesso espressamente dallo stesso art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, laddove esso rimette alla disciplina degli artt. 22 e ss. della l. n. 241 del 1990, «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici», ma anche e più in generale dalla l. n. 241 del 1990, richiamata dall’art. 53 testé citato”. E in tal senso si era già espressa la stessa Adunanza, spiegando che “l’amministrazione non può[…] negare l’accesso agli atti riguardanti la sua attività di diritto privato solo in ragione della loro natura privatistica” (Cons. St., Ad. plen., 22 aprile 1999, n. 5 ) e, ancora prima, il Consiglio di Stato, sez. IV, che ha riconosciuto l’accesso ad atti “concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale” (Cons. St.,4 febbraio 1997, n. 42).
Ultimo punto chiarito dall’Adunanza afferma l'applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato, ex art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013, agli atti delle procedure di appalto.
Antecedenti a tale pronuncia sono due orientamenti giurisprudenziali in contrasto ed è la posizione della III sezione del Consiglio di Stato ad essere confermata nell’Adunanza. Il primo orientamento (Cons. St., V, 2 agosto 2019, n. 5502 e 5503) esclude l’applicazione dell'istituto dell’accesso civico generalizzato e ritiene che l’art. 53 del Codice appalti (d.lgs. 50/2016) renda unicamente applicabile la disciplina dell’accesso documentale ex artt. 22 e ss. della legge 241/1990.
Il secondo orientamento (Cons. St., III, 5 giugno 19, n. 3780) ritiene che il rinvio operato dall’art. 53 del Codice appalti alla disciplina dell’accesso documentale non possa condurre all’esclusione generalizzata dell’accesso civico generalizzato: entrambe le discipline di accesso convivono nel nostro ordinamento.
Se si appoggiasse il primo orientamento, la non applicabilità della disciplina dell’accesso generalizzato limiterebbe il diritto dell’operatore economico, dal momento che l’accesso documentale richiede la titolarità di uno specifico interesse, qualificato e differenziato.
L’Adunanza Plenaria, che invece ha recepito il secondo orientamento, sottolinea che l’accesso civico generalizzato è il “diritto di chiunque, non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza” che “viene riconosciuto e tutelato «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, del d.lgs. 33 del 2013). L’esplicita precisazione del legislatore evidenzia proprio la volontà di superare quello che era e resta il limite connaturato all’accesso documentale che, come si è detto, non può essere preordinato ad un controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, della l. n. 241 del 1990)”. Esso ha natura di diritto fondamentale, strumentale al soddisfacimento dei diritti fondamentali di persona.
Dunque, diversamente dall’accesso documentale (l. 241/90), finalizzato alla protezione di un interesse individuale, l’accesso civico generalizzato non richiede una posizione qualificata: non riguarda un “need to know”, un bisogno di conoscere strumentale ad una situazione giuridica pregressa, ma un “right to know”, un interesse alla conoscenza.
Il rapporto tra le due discipline generali dell’accesso “non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla reazione tra le discipline non è quella della separazione, ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta “per materia” delle singole discipline”.
È il principio di trasparenza, quale fondamento della democrazia amministrativa, a rappresentare il punto cardine della nuova posizione del Consiglio di Stato di inclusione della disciplina, perché tale principio si concretizza anche nel rendere conoscibili i documenti amministrativi.
CONCLUSIONI
L’impresa che risulta non aggiudicataria, secondo la Plenaria, è titolare di un interesse all’ostensione degli atti della fase esecutiva dell’appalto. Qualora tale interesse non costituisca legittimazione all’accesso documentale, perché non specifico e differenziato, l'impresa potrà avvalersi della disciplina sull’accesso civico generalizzato. In tal modo il concorrente potrà verificare la correttezza dell’operato dell’amministrazione, salvo comunque i limiti previsti dalla legge volti alla tutela del cd. know-how industriale e commerciale. Tali limiti sono previsti all’art. 53 del Codice appalti e all’art. 5 bis, comma 2, d.lgs. 33/2013.