Diminuiscono i ricorsi pendenti, anche perché molti sono stati dichiarati inammissibili per mancato esaurimento delle “vie interne di ricorso”. Lo ha riferito Guido Raimondi, presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, in occasione della conferenza stampa annuale che si è tenuta il 25 gennaio a Strasburgo, sede del Tribunale dei diritti dell’uomo (da non confondere la Corte di giustizia dell’Unione europea, tribunale che ha sede a Lussemburgo e che si occupa solo delle controversie dell’Unione europea).
Il 2017 vi è stato un aumento dei ricorsi, dovuto in gran parte a nuovi procedimenti contro la Turchia (oltre 30.000 ricorsi proposti principalmente per detenzioni illegali a danno di giornalisti e giudici, come ha spiegato il presidente Raimondi nel suo discorso). Comunque, il numero complessivo delle pendenze è diminuito. Si è passati dagli oltre 80.000 ricorsi pendenti del 2016 ai circa 56.000 del 2017 (-16%).
Nel comunicato stampa della Corte si spiega che “la considerevole riduzione dei casi è imputabile ai molti ricorsi dichiarati inammissibili per mancato esaurimento delle vie interne di ricorso. Nel caso Burmych e altri c. Ucraina, la Corte ha stabilito che il problema strutturale sollevato da quel caso andava trattato nell’ambito della procedura di esecuzione per il giudizio pilota Ivanov c. Ucraina. Pertanto ha deciso di cancellare dal ruolo più di 12.000 ricorsi pendenti, trasmettendoli al Comitato dei ministri. Il presidente Raimondi ha sottolineato l’importanza del principio di sussidiarietà, che mette gli Stati in prima linea nella protezione dei diritti e delle libertà garantite dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
Il principio di sussidiarietà implica che la Corte europea dei diritti dell’uomo non deve agire come un “giudice di quarta istanza”. Il suo scopo non è quello di “riformare” le sentenze emesse dai Paesi che hanno aderito alla Cedu. La Corte non può, nell’esercizio del suo potere di apprezzamento, sostituirsi alle autorità nazionali competenti. Di conseguenza le autorità nazionali sono libere di scegliere i mezzi che considerano più appropriati e la supervisione della Corte riguarda solo la conformità di questi mezzi ai requisiti della Cedu (si veda, tra le tante, il Case “relating to certain aspects of the laws on the use of languages in education in Belgium” (“the Belgian linguistic case”) (merits), 23 July 1968, Series A no. 6).
Secondo i dati forniti dalla cancelleria della Corte, nel 2017 gli Stati con un maggior numero di giudizi sono stati Russia (305), Turchia (116), Ucraina (87), Romania (69), Bulgaria (39) e Grecia (37). I casi pendenti al 31 dicembre 2017 riguardavano Romania (17,6%), Russia (13,8%), Turkey (13,3%), Ucraina (12,6%) e Italia (8,3%).
Il nostro Paese garantisce un elevato standard di tutela dei cittadini rispetto ad altre nazioni della lista (e ciò si verifica anche in relazione alla tipologia di condanne), tuttavia soffre di un problema strutturale sulla eccessiva durata dei processi. La maggiora parte delle cause proposte contro l’Italia riguarda proprio questa tematica.
Link utili:
- Il video della conferenza stampa:
https://vodmanager.coe.int/cedh/webcast/cedh/2018-01-25-1/lang
- Il comunicato stampa della Corte:
http://hudoc.echr.coe.int/eng-press?i=003-5984719-7658615
- Il discorso del presidente della Corte
http://echr.coe.int/Documents/Speech_20180125_Raimondi_JY_PC_FRA.pdf